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27 marzo 2021 - Badia Fiorentina Fr. Antoine-Emmanuel


Sabato della V settimana di Quaresima

Ez 37,21-28 – Gv 11,45-56


Per l’autorità religiosa suprema in Israele, Gesù è pericoloso!


“Quest'uomo compie molti segni”(Gv 11,47).

È vero! Ha appena risuscitato Lazzaro che era da quattro giorni nel sepolcro

e che era morto di una malattia grave…

”Se lo lasciamo continuare così, tutti crederanno in lui,

verranno i Romani e distruggeranno il nostro tempio e la nostra nazione"(Gv 11,48),

cioè quest’uomo è pericoloso per il tempio e per la nazione giudaica,

la sua stessa esistenza mette a rischio il nostro modo di vivere.


Caifa, sommo sacerdote dal 18 al 36, è ancora più deciso:

"Voi non capite nulla!

Non vi rendete conto che è conveniente per voi che un solo uomo muoia per il popolo,

e non vada in rovina la nazione intera!"(Gv 11,49-50)

L’esistenza stessa di Gesù è una minaccia gravissima per la “nazione intera”.

La sua morte è necessaria per salvare la nazione.

Per conservare l'esistente.

Per non mandare in rovina tutto un modo di vivere.


Perché Gesù mette in pericolo l'equilibrio che si è costituito:

una logica di egoismi che dà potere e ricchezza a pochi, a un'élite politico-religiosa,

e che abusa dei piccoli, della povera gente.

E quindi, Gesù va eliminato al più presto.


Ha ragione Caifa!

Sì, Gesù è un pericolo per i nostri egoismi.

Gli egoismi singoli, gli egoismi a due, a tre,

gli egoismi tribali o nazionali.


Anche in una comunità religiosa

si può operare in una logica di egoismi,

una composizione di isole in cui ciascuno difende il proprio ambito.


Gesù è davvero un pericolo!

Perché vuole farci passare ad un’altra logica.



Quando Chiara Lubich fece l’esperienza

di una comunione del tutto nuova con Igino Giordani,

vide in un lampo quello che si vive nella più bella vita religiosa,

fin quando si dice di sì all’amore reciproco:


“E’ come trovarsi “in cima ad un’altissima montagna,

come fosse la più alta possibile, terminante in punta, in punta di spillo:

una quindi ed alta, ma non amore (…)

tanto da sembrarmi che anche esser dio, ma non trino, sarebbe stato un inferno.”[1]


Gesù ci fa passare alla logica della comunione.

È tutt’altra.

Talmente altra che bisogna morire per entrare in essa.

Bisogna esservi condotti dalla mano stessa di Dio.

È quello che Ezechiele ci ha fatto intravedere oggi.

“Io prenderò i figli d'Israele dalle nazioni fra le quali sono andati

e li radunerò da ogni parte e li ricondurrò nella loro terra:

farò di loro un solo popolo nella mia terra, sui monti d'Israele;

un solo re regnerà su tutti loro e non saranno più due popoli,

né saranno più divisi in due regni.” (Ez 37,21-22)

Ezechiele disse questo avendo in mano due pezzettini di legno

e congiungendoli nella sua mano.

È l’immagine dell’opera di Dio.

È nella mano di Dio che diventiamo una sola cosa.

Bisogna che Dio ci prenda per mano per portarci nell’unità.


Caifa in realtà non sbagliava!

Sì, “è conveniente per noi che un solo uomo muoia per il popolo,

e non vada in rovina la nazione intera!"(ibid.).

È la morte di Gesù che ci apre all’altra logica, quella della comunione.

È solo in Gesù abbandonato che si trova la via dell’unità fra noi, quella vera.

E Giovanni insiste:

Caifa “profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione;

e non soltanto per la nazione, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi.”

(Gv 11,51-52)

È a tutta l’umanità che Gesù offre quest’altra logica,

quest’altro modo di vivere

in cui si condividono con gli altri i tesori di Dio.

Non si tengono più per sé o per una piccola élite i tesori di Dio:

si mettono in comune,

accettando di impoverirsi,

ma in realtà nel momento in cui si condividono quei tesori,

si comincia ad esistere veramente.

Bisogna perdere per esistere.

Bisogna morire per amare.

Bisogna fare, come Gesù, l’esperienza di essere abbandonati da Dio

per poter entrare nella vita vera che è comunione.


Letteralmente Gesù ci “conduce insieme nell’UNO”.

Bisogna quindi lasciarsi condurre da Gesù.

Ha offerto le sue mani ai carnefici

perché le inchiodassero sulla croce,

in modo tale che oggi le vediamo aperte in un gesto che accoglie tutti

nella vita nuova che è la comunione.


Non vi è una vita nuova e un dono di comunione, come due realtà in parallelo:

sono un’unica realtà!

La vita nuova è vita di comunione.

Siamo vivi nella misura in cui Gesù ci ha liberati dai nostri egoismi

e ci ha fatti passare – per la morte – nella comunione.


Ecco quello che possiamo desiderare in questa Settimana Santa:

questo passaggio alla comunione

che fa di noi un dono per tutti.


Lo affidiamo alla Beata Vergine Maria,

la cui opera è appunto di portarci nell’unità voluta ed aperta da Gesù.

È la donna che oggi “grida per le doglie e il travaglio del parto” (cfr Ap 12,2)

perché mette al mondo quest’umanità nuova,

“per riunire insieme i figli di Dio che oggi sono dispersi”. (cfr Gv 11,52)

[1] Oberiberg (Svizzera), festa di San Paolo, 30 giugno 1961

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