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18 luglio 2023 Badia Fiorentina Fr. Antoine-Emmanuel



Martedì XV settimana del T.O.

Es 2,1-15a – Mt 11,20-24


Diventare amici di Dio


I primi capitoli del Libro dell’Esodo ci danno il ritratto di donne formidabili!

Vi sono le “levatrici degli Ebrei, delle quali una si chiamava Sifra e l'altra Pua” (Es 1,15)

che trovano il modo di salvare i bambini del Popolo d’Israele.

Poi, incontriamo oggi la mamma di Mosè e la sorella di Mosè

che sono capaci di grande inventività

per salvare la vita del neonato.

E vi è la stessa figlia del Faraone che ascolta non il decreto del padre,

ma l’empatia materna del proprio cuore!


In un contesto segnato da grande violenza,

queste donne seppero trovare delle vie di pace, per servire la vita.


Che differenza con il giovane Mosè che, appena vede la violenza,

risponde con la violenza!

Con le migliori intenzioni del mondo, vuole sradicare la zizzania…

E fu una catastrofe.


Ci vorrà il lungo esilio nel deserto di Madian

per far crollare il senso di onnipotenza presente nel suo cuore;

perché divenga servo di Dio, e non dei propri ideali “in nome di Dio”.

Allora, Mosè non sarà più il protagonista,

ma diverrà, nella prova, l’amico di Dio.


Ci vuole il deserto per diventare amici di Dio.

Charles de Foucauld ne ebbe l’intuizione,

quando scrisse ad un amico trappista

che invitava ad un lungo ritiro in preparazione all’ordinazione:


“Bisogna passare per il deserto e rimanervi per ricevere la grazia di Dio: è là che ci si svuota, che si caccia via da sé tutto quello che non è Dio, e si svuota completamente la piccola dimora della nostra anima per lasciare tutto il posto a Dio solo.

Gli Ebrei sono passati per il deserto, Mosè ci ha vissuto prima di ricevere la sua missione, San Paolo dopo Damasco è dovuto restare tre anni in Arabia, il suo patrono San Girolamo, San Giovanni Crisostomo si sono anch'essi preparati nel deserto.

È indispensabile. È un tempo di grazia. È un periodo che ogni anima che voglia portare frutto deve necessariamente attraversare; ha bisogno di questo silenzio, di questo raccoglimento, di quest’oblio di tutto il creato, per mezzo dei quali Dio stabilisce in essa il suo regno, e plasma in essa lo spirito interiore, la vita intima con Dio, la conversazione dell’anima con Dio nella fede, nella speranza e nella carità.

Più tardi l’anima produrrà dei frutti esattamente nella misura in cui si sarà formato in lei l’uomo interiore. Se la vita interiore è assente, anche con tutto il suo zelo, le sue buone intenzioni, tanto impegno, non ci saranno frutti: è una fonte che vorrebbe dare la santità agli altri ma che non può farlo non avendola. Non si dà se non quello che si ha: ed è nella solitudine, in questa vita soli con Dio solo, in questo raccoglimento profondo dell’anima che dimentica tutto il creato per vivere sola nell’unione con Dio, che Dio si dà interamente a chi si dà così interamente a Lui. » (Lettre au frère Jérome)[1]


“Bisogna passare per il deserto” per diventare amici di Dio,

per vivere una vera conversione.


E qui ci aiuta il Vangelo.

Qual era la malattia spirituale delle città del lago

che erano state testimoni di tantissimi segni e miracoli compiuti da Gesù?

L’insensibilità del cuore! (cfr. Mt 11, 21-23)

Il cuore insensibile ai prodigi di Dio.

La Scrittura parla del cuore grasso


Convertirsi è riconoscere le meraviglie di Dio,

È aprire gli occhi e rendere grazie.


Allora il Signore ci dia un tempo di deserto

per aprire gli occhi alle Sue meraviglie,

per diventare suoi amici !



[1] Il faut passer par le désert et y séjourner pour recevoir la grâce de Dieu : c'est là qu'on se vide, qu'on chasse de soi tout ce qui n'est pas Dieu et qu'on vide complètement cette petite maison de notre âme pour laisser toute la place à Dieu seul. Les Hébreux ont passé par le désert, Moïse y a vécu avant de recevoir sa mission, saint Paul au sortir de Damas a été passer trois ans en Arabie, votre patron saint Jérôme, saint Jean Chrysostome se sont aussi préparés au désert. C'est indispensable. C'est un temps de grâce. C'est une période par laquelle toute âme qui veut porter des fruits doit nécessairement passer ; il lui faut ce silence, ce recueillement, cet oubli de tout créé au milieu desquels Dieu établit en elle son règne, et forme en elle l'esprit intérieur, la vie intime avec Dieu, la conversation de l'âme avec Dieu dans la foi, l'espérance et la charité. Plus tard l'âme produira des fruits exactement dans la mesure où l'homme intérieur se sera formé en elle. Si cette vie intérieure est nulle, il y aura beau avoir du zèle, de bonnes intentions, beaucoup de travail, les fruits seront nuls : c'est une source qui voudrait donner la sainteté aux autres mais qui ne peut ne l'ayant pas : on ne donne que ce qu'on a : et c'est dans la solitude, dans cette vie seul avec Dieu seul, dans ce recueillement profond de l'âme qui oublie tout le créé pour vivre seule dans l'union avec Dieu, que Dieu se donne tout entier à celui qui se donne ainsi tout entier à Lui.

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