“Qualunque cosa facciate, in parole e in opere, tutto avvenga nel nome del Signore Gesù, rendendo grazie per mezzo di lui a Dio Padre.” (Col 3,17) Con questi versetti della lettera ai Colossesi, la festa di San Giuseppe ci interroga sulle motivazioni delle nostre scelte quotidiane, su quello che ispira il nostro lavoro, i nostri compiti, il nostro agire quotidiano. Cosa ci motiva? Commentando le parole di Gesù: “In verità, in verità io vi dico: chiunque commette il peccato è schiavo del peccato” (Gv 8,34), il Cardinale Carlo-Maria Martini scrive: “Chi non si apre ad un’esistenza autentica è schiavo di tutte le contingenze quotidiane. Se esaminiamo una delle nostre giornate, soprattutto se siamo impegnati in una vita attiva, credo che non sfuggiremo all’impressione di essere in qualche modo schiavi delle cose. Non soltanto schiavi delle passioni, il che può accadere in un modo più o meno palese, ma schiavi dei compiti, degli orari, delle urgenze, del telefono, senza in fondo sapere bene, in mezzo a tante preoccupazioni, quello che stiamo facendo e perché lo facciamo.”1 Questo ci spinge ad interrogarci sul nostro modo di vivere, in questo tempo di pandemia. Allora, guardiamo con semplicità… Vivere la quarantena, restare chiusi in casa è cosa buona, perché ci prendiamo cura gli uni degli altri, cercando di fermare il contagio del virus. Ma non è cosa buona, perché ci allontaniamo dall’essere insieme, dal vivere insieme, fisicamente, gli uni con gli altri, gli uni per gli altri, attenti ai più deboli, ai più fragili, che è la nostra vocazione. Rispettare tutte le misure di distanza sociale è cosa buona, per evitare la trasmissione della malattia. Ma è cosa grave, perché diviene dittatura della salute: tutto il vivere è centrato non più sul fine ultimo dell’uomo che è l’eternità, ma solo sulla sua salute. Essere esigenti e vietare le celebrazioni nelle chiese, come pure nelle sinagoghe e nelle moschee, è necessario per evitare il contagio, per proteggere chi è a rischio. Ma è cosa molto grave, perché nega la libertà di culto, e perché priva il Popolo di Dio del Pane di vita. Usare applicazioni sugli smartphone per controllare il contagio può essere efficace per proteggere i più deboli, ma è molto pericoloso, perché è una porta aperta ad un controllo totalitario delle persone che mette a rischio la libertà personale, in nome dell’idolatria della salute. Vaccinare l’intera popolazione mondiale è cosa desiderabile per fermare l’epidemia. Ma è tanto pericoloso, perché è la porta aperta a un totalitarismo della medicina, e ad un uso senza discernimento dell’intelligenza artificiale che servirebbe il transumanesimo, la voglia di “creare” un uomo che non conosca più limiti. Allora, come dice Paolo nella prima lettera ai Tessalonicesi: “Non dormiamo dunque come gli altri, ma vigiliamo e siamo sobri.” (1 Tess 5,6) Vigiliamo, perché dietro tutti questi rischi, non ci sono semplicemente degli uomini che potrebbero ordire una trama, ma vi è il demonio che ci attira man mano in un grande tranello, in cui l’umanità si lascia sedurre… Si lascia sedurre dalla possibilità di diventare essa stessa il “creatore”. E le vittime saranno ancora una volta i più fragili, i più poveri… Come dice Paolo nella lettera agli Efesini: “La nostra battaglia infatti non è contro la carne e il sangue, ma contro i Principati e le Potenze, contro i dominatori di questo mondo tenebroso, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti.” (Ef 6,12) Quindi bisogna vigilare. Vigilare perché ci vengono offerti dei mezzi che sono tanto graditi per rendere la vita più piacevole, per avere sempre “di più”, e per la nostra salute, ma che comportano una privazione graduale delle nostre libertà fondamentali. Vigilare per non lasciarci sedurre da una compassione che scansa Dio. La “compassione” che nega Dio è la rovina della persona umana, e della sua vocazione alla comunione e all’eternità. Il discernimento è estremamente delicato. Abbiamo bisogno dello Spirito Santo, della Sapienza Divina, per non essere ingannati. Da soli saremo ingannati. Abbiamo bisogno della Beata Vergine Maria, alla quale il nostro tempo è affidato in modo particolare, ed alla quale, l’Italia, il Canada, gli Stati Uniti oggi si consacrano, come l’India ha già fatto il giorno di Pasqua. Bisogna, come San Giuseppe, rimanere in ascolto dell’angelo, anche in piena notte, per alzarci appena è necessario farlo, e fuggire dalla violenza di Erode, per proteggere la vita di Gesù in ogni persona umana, per proteggere non solo la salute, ma pure l’anima. Sia chiaro che non si tratta di disinteressarsi della salute, delle condizioni materiali della vita: sarebbe assurdo. Ma si tratta di preoccuparsene e di preoccuparsi pure dell’anima. L’una e l’altra preoccupazione sono, e saranno sempre, in tensione polare. Ma questa tensione è sana. Ci mantiene poveri gli uni dinanzi agli altri, e soprattutto poveri dinanzi a Dio. Vegliamo e siamo attenti a non cadere nel grande rifiuto della Croce, nella grande affermazione dell’onnipotenza dell’uomo, che vuole avviare l’uomo, senza ritorno, alla negazione di Dio. Quello che è “buono”, non può essere anche non buono, grave, pericoloso… Come dice Paolo nella prima lettura odierna: “Servite il Signore che è Cristo!” (Col 3,24) Solo Lui! Perché "ogni cosa che farai avrà senso solo se la farai in funzione della vita eterna." (Chiara Corbella Petrillo) 1 Commento al Vangelo di Giovanni - Tradotto dal francese
venerdi 1° maggio 2020 - San Giuseppe, lavoratore - Col. 3, 14-15, 17, 23-24 - Mt. 13,54-58 - f. Antoine-Emmanuel